Il primo studio pilota al mondo è stato condotto in Piemonte nel 2003, e nel Nord-Est del Paese si è svolto il progetto più esteso mai realizzato in Europa. La patologia, però, non è ancora inclusa nel pannello di screening nazionale
Padova – Italia, Spagna, Austria, Ungheria, Stati Uniti, Brasile, Messico, Taiwan, Cina e Giappone: sono dieci le nazioni che nel corso degli ultimi vent’anni hanno avviato dei programmi di screening neonatale per la diagnosi e il trattamento precoce della malattia di Fabry. Questa condizione, però, fatica ad essere introdotta – in Italia e in altri Paesi – nei pannelli nazionali di screening.
Un problema (condiviso con altre patologie da accumulo lisosomiale come le malattie di Gaucher e di Pompe e la mucopolisaccaridosi di tipo I) che è stato affrontato recentemente nel corso di un webinar organizzato da OMaR-Osservatorio Malattie Rare in collaborazione con l’associazione dei pazienti AIAF APS, dal titolo “Malattia di Anderson-Fabry: prospettive future di una rivoluzione lunga 20 anni”.
Una rivoluzione che è in gran parte dovuta alle possibilità offerte dallo screening neonatale: spesso, infatti, la diagnosi di questa malattia arriva in ritardo, quando il danno d’organo è già grave e irreversibile, e ciò rende meno efficaci i trattamenti specifici. Ma negli ultimi due decenni sono stati sviluppati degli efficaci metodi di analisi, a partire dal test delle macchie di sangue essiccato (dried blood spot, DBS) e al dosaggio dell’enzima con la tecnica della fluorimetria, fino ai test ad alto rendimento come la microfluidica digitale e la spettrometria di massa tandem. Recentemente, infine, in alcuni Paesi sono stati applicati allo screening neonatale dei metodi basati sul DNA.
Così, in tutto il mondo, sono stati implementati diversi studi pilota e programmi per lo screening neonatale della malattia di Fabry, molto diversi tra loro in base al costo economico della procedura, alle competenze e agli interessi locali, alle decisioni politiche e alla presenza di associazioni a difesa dei pazienti. Una dettagliata fotografia di questo panorama è stata scattata, sulle pagine dell’International Journal of Neonatal Screening, dall’équipe dell’Unità Operativa Complessa di Malattie Metaboliche Ereditarie dell’Azienda Ospedaliera di Padova, reparto diretto dal prof. Alberto Burlina.
ASIA
A Taiwan, dove la prevalenza della Fabry è molto alta, lo screening è iniziato nel 2006 utilizzando prima il test fluorimetrico e poi la spettrometria di massa tandem. La variante IVS4+919G>A del gene GLA è la causa più comune della patologia (l’82%, circa un caso su 1.600 maschi) ed è prevalentemente associata al coinvolgimento cardiaco, sebbene solo una piccola parte dei pazienti portatori abbia manifestazioni cliniche. A causa del basso numero di varianti patogene comuni e dell’elevato tasso di falsi negativi nelle femmine (soprattutto portatrici della variante IVS4), è stato implementato uno screening basato sul DNA. In Giappone, lo screening pilota basato sugli enzimi è iniziato nel 2007, mentre in Cina è stato introdotto solo di recente.
AMERICA
Negli Stati Uniti, nel 2008, è stata proposta l’inclusione della Fabry nel Recommended Uniform Screening Panel (RUSP), l’elenco di tutte le malattie genetiche raccomandate per lo screening neonatale, ma il Comitato consultivo sulle malattie ereditarie nei neonati e nei bambini (ACHDNC) ha respinto la proposta a causa delle incertezze sulla sensibilità del test, sulla prevalenza delle varianti a esordio tardivo e sull’efficacia dei trattamenti. Tuttavia, l’impulso dato dalle associazioni e dalle famiglie dei pazienti ha consentito l’implementazione dello screening sistematico per la Fabry in diversi Stati: nel 2013, il Missouri è diventato il primo Stato a sottoporre a screening tutti i neonati per diverse malattie da accumulo lisosomiale, inclusa la Fabry, utilizzando un test in fluorescenza basato sulla microfluidica digitale. Nei primi sei mesi sono stati analizzati 43.701 campioni e 15 neonati hanno riportato una diagnosi genetica di Fabry (un caso su 2.913). Nel 2014, l’Illinois ha avviato un programma pilota per cinque malattie da accumulo lisosomiale tra cui la Fabry, utilizzando la spettrometria di massa tandem, che ha portato a eseguire lo screening in tutto lo Stato nel giugno 2015. Sono stati quindi avviati ulteriori studi e programmi pilota in diversi altri Stati.
Anche in America Latina si sono svolti due studi: uno in Brasile, nel 2017, con la microfluidica digitale (10.527 pazienti) e uno in Messico, dal 2012 al 2016, con la spettrometria di massa tandem (20.018 pazienti).
EUROPA
L’Italia ha due primati nello screening neonatale della Fabry. Il primo studio pilota al mondo, infatti, è stato condotto in Piemonte nel 2003, utilizzando un test fluorimetrico su 37.104 nati maschi, e in 12 di loro è stata riscontrata la malattia (un caso su 3.100).
Il secondo primato è il numero più rilevante di neonati sottoposti a screening in Europa, riportato dal gruppo dell’Azienda Ospedaliera di Padova nel 2021. Questa esperienza, durata oltre cinque anni (dal 2015 al 2020) ha permesso di testare 173.342 neonati (89.485 maschi) in Veneto, Trentino e Friuli-Venezia Giulia. Il metodo consisteva nel misurare l’attività dell’enzima alfa-galattosidasi A (carente in questi pazienti) e nell’effettuare il dosaggio della globotriaosilsfingosina (Lyso-Gb3) in macchie di sangue essiccato (dried blood spot) attraverso la spettrometria di massa tandem. Una variante genetica nel gene GLA è stata confermata in 22 maschi: la frequenza è risultata quindi di un caso ogni 7.879 neonati e di un caso ogni 4.068 maschi. Tra questi, 13 erano portatori di una variante patogena nota, a esordio tardivo, e 9 presentavano varianti benigne o di significato sconosciuto. La variante patogena più comune (tre pazienti) è stata p.Asn215Ser, a insorgenza tardiva. All’ultimo follow-up, tutti i pazienti (età media 3 anni) erano asintomatici e nessuno stava ricevendo un trattamento specifico. Tra le 83.853 neonate femmine sottoposte a screening, infine, non è stata rilevata alcuna eterozigote.
In Austria è stato eseguito un piccolo studio pilota con quasi 35.000 campioni, utilizzando la spettrometria di massa tandem, durante il quale sono stati identificati nove pazienti con Fabry, mentre in Ungheria, con lo stesso metodo e su circa 40.000 campioni, sono stati confermati tre casi. Un piccolo screening pilota è stato condotto anche in Spagna, con un elevato numero di varianti benigne rilevate nei test di conferma.
I DUBBI E LE PROSPETTIVE FUTURE
Tutti gli studi, sorprendentemente, hanno dimostrato che la malattia di Fabry è più diffusa rispetto a quanto stimato da Desnick et al. nel 2001 (un caso su 40.000 neonati), in particolare nella forma a insorgenza tardiva. Anche in Italia, come confermava il prof. Alberto Burlina due anni fa, la patologia è risultata molto più frequente del previsto, con un’incidenza simile a quella della fenilchetonuria.
Ciò nonostante, lo screening neonatale per la Fabry non è ancora universalmente accettato, poiché persistono diverse perplessità: innanzitutto l’incidenza della malattia è solo una stima, basata sul falso presupposto che tutti i neonati “veri positivi” svilupperanno sintomi. Inoltre, la maggior parte degli studi non distingue tra neonati maschi e femmine, e queste ultime non vengono rilevate dallo screening. Gli altri problemi sono illustrati dal prof. Burlina: “Come dimostrato da tutti questi studi, la frequenza e la praticabilità tecnica rendono lo screening neonatale per la malattia di Fabry fattibile, conveniente e adatto per essere esteso a una vasta popolazione”, premette l’esperto.
Tuttavia diverse questioni, sia tecniche che di natura etica, meritano un approfondimento: “Mancano sia un test di secondo livello adatto a coprire tutte le forme della malattia e a ridurre il tasso di richiamo, sia un metodo per il rilevamento biochimico delle femmine eterozigoti. C’è poi il problema dell’interpretazione clinica di un elevato numero di bambini con forme a insorgenza tardiva e varianti non classificate o di significato incerto. Infine, quale sarà l’impatto della diagnosi precoce sui pazienti con forme ad insorgenza tardiva?” si chiede Burlina.
La risposta è: servono maggiori sforzi per acquisire dati di follow-up a lungo termine: “Saranno cruciali i dati associati alla caratterizzazione funzionale delle varianti controverse, gli studi sui biomarcatori e sui geni modificatori. Il follow-up a lungo termine degli individui rilevati dal test migliorerà le nostre conoscenze sulla storia naturale della malattia, la previsione del fenotipo e la gestione dei pazienti, e ciò consentirà una migliore valutazione dei rischi e dei benefici dello screening neonatale”.