Il prof. Giancarlo la Marca: “Ridurre al minimo questi risultati significa risparmiare sui costi del programma ed evitare ai genitori stress e ansia associati al richiamo”
Firenze – Un risultato falso negativo, quando si parla di screening neonatale, è un evento molto grave: si ritiene sano un bambino che invece è malato, e così si ritardano le cure che avrebbero potuto evitargli la compromissione di organi o apparati, disabilità e in alcuni casi la morte. Un caso meno tragico è un esito del test falso positivo: il neonato risulta positivo al test, mentre in realtà è sano; tuttavia, anche in questo caso ci sono delle conseguenze spiacevoli, sia dal punto di vista psicologico che da quello economico.
Negli ultimi anni, l’espansione dei programmi nazionali di screening neonatale ha fornito dei vantaggi significativi nella diagnosi e nel trattamento precoce di diverse malattie rare ed ereditarie, prevenendo esiti avversi per la salute dei bambini affetti. I nuovi sviluppi tecnologici e l’identificazione di nuovi biomarcatori hanno consentito l’implementazione di panel di test che – come quello italiano – coprono oltre 40 disturbi: conseguenza abbastanza prevedibile di questo, è stato l’incremento del tasso di falsi positivi che ha portato a un elevato numero di neonati sani richiamati, con i costi associati per test di conferma e day hospital, e ciò ha acceso un dibattito sul rapporto danni-benefici dello screening neonatale esteso.
Ridurre al minimo il tasso di falsi positivi rappresenta una sfida per gli operatori sanitari che lavorano in quest’ambito, e le strategie per ottenere questo risultato sono state riassunte in un recente articolo pubblicato sull’International Journal of Neonatal Screening. Gli autori sono gli specialisti del Laboratorio di Screening Neonatale, Biochimica Clinica e Farmacologia dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer di Firenze: il responsabile Giancarlo la Marca e le colleghe Sabrina Malvagia, Giulia Forni e Daniela Ombrone.
“Queste strategie possono aumentare il valore predittivo positivo del test, che indica la sua efficienza diagnostica: se ogni volta che si riscontra un risultato positivo, quel soggetto è davvero malato, il test ha un valore predittivo positivo del 100%”, spiega il prof. la Marca, che è anche presidente della SIMMESN (Società Italiana per lo studio delle Malattie Metaboliche Ereditarie e lo Screening Neonatale). Questo è l’obiettivo al quale tutti i test aspirano, ma spesso ci sono dei margini di errore: “I falsi positivi hanno un costo economico aggiuntivo, legato ai test di conferma che è necessario eseguire, e un costo sociale, perché si deve richiamare il neonato per un nuovo prelievo, e ciò comporta giornate di lavoro perse, stress e ansia per l’attesa del risultato”.
È un momento pesante dal punto di vista psicologico per tutta la famiglia: infatti, nei sistemi di screening più evoluti, come quello del Meyer, è prevista la presenza di uno psicologo che affianca la coppia in questo percorso. “Lo screening neonatale è un programma molto complesso: la possibilità di un richiamo a causa di un risultato falso positivo è descritta nell’informativa che viene presentata ai genitori nelle 48 ore successive al parto, e se ne parla anche nei corsi di preparazione alla gravidanza”, prosegue la Marca. “Ma in quel momento tutta l’attenzione dei genitori è per il bambino appena nato, perciò, se in seguito sono necessari dei test di approfondimento, la famiglia non è preparata ad affrontare questo momento di angoscia, che noi, per quanto possibile, dobbiamo evitare”.
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